Valerio P. Cremolini - Febbraio 1996
Ci sono buone ragioni per ritenere che Giuseppe Arigliano si sia legittimamente conquistato uno spazio, e ne sottolineo l'autorevolezza, nella pittura ligure di questo secolo con una fioritura di opere che si impongono non solo per la loro fragrante bellezza, ma soprattutto per la costanza di un linguaggio tecnicamente ineccepibile. Ma, è bene precisare, insieme alla tecnica eloquente ed indiscutibilmente magistrale c'è una passione ed una non artificiosa tenuta lirica dei dipinti che va oltre la semplice illustrazione. Certamente, nel deposito della cultura artistica di Arigliano c'è il napoletano Giacinto Gigante (1806-1876) per la «particolare lettura sentimentale del paesaggio, lettura come amplificazione di tutto quanto di suggestivo la stessa veduta comporta» (R. Causa).
Ed Arigliano ama da sempre il paesaggio ed il suo nome, allora, va affiancato a quello di illustri e rinomati artisti liguri che hanno caratterizzato quel felicissimo filone di pittura paesaggistica rappresentato, tra gli altri, da Tammar Luxoro (1825-1899), Benedetto Musso (1835-1883), Ernesto Rayper (1840-1873), Dario Bardinero (1868-1908), Federico Maragliano (1873-1952), Eugenio Olivari (1882-1917) e, nell'ambito per nulla passivo della realtà spezzina, da Agostino Fossati (1830-1904), Felice Del Santo (1864-1934), Giò Batta Valle (1843-1905), Antonio Discovolo (1876-1956) ed ancora da un pittore stimatissimo nella mia città che ha dipinto tantissimo mare come Giuseppe Caselli (1893-1976).
Non a caso cito Discovolo e Caselli capace il primo, con taglio disciplinatamente divisionista, ed il secondo, con una gestualità eccezionale, di ricreare il paesaggio marino in una cornice di luce frutto del migliore raccordo qualitativo dei colori e, così, Arigliano dipinge con immutato impegno il mare di Liguria invadendolo di una luminosità di spessore poetico ed intellettuale. Non guasta, peraltro, ricordare la solidissima materia cromatica del grande Rubaldo Merello (1872-1922), pittore innamorato dell'azzurro ed utilizzato, scrive Roberto Tassi, «come se l'aria fosse diventata serale o notturna e tingesse ogni cosa, erbe, rocce, case, fichi d'India, muri, oltre le acque e il cielo che all'azzurro competono». L'importanza della pittura di Giuseppe Arigliano è dovuta anche alla forte capacità, evocativa che essa suscita e, nell'interminabile panorama ligure, scorgiamo in Serafino De Avendano (1838-1916) un'altra figura di riguardo che ha offerto una visione rinnovata della veduta marina di cui Arigliano pare riprenderne l'intensità materica.
Il paesaggio è, quindi, protagonista indiscusso nella pittura ed anche Giuseppe Arigliano lo considera motivo centrale e soggetto privilegiato della sua vocazione artistica. Con una tavolozza limpida, delicata, con il tocco leggero della mano, il pittore ci consegna la sua personale testimonianza della quotidianità trasferita sulla tela nelle immagini di panorami trafitti dalla variabilità della luce.
Il naturalismo, come lo persegue Arigliano, lo impegna, infatti, a meditare lungamente a contatto diretto con l'ambiente, con le sue ombre e le sue luci, che l'artista osserva, analizza e traduce in una pittura viva, vera, ricca di risorse nella forma e nel contenuto.
Dal suo "atelier" senza confini l'artista, stimolato anche interiormente da un "vedere" profondo, diffonde nelle sue opere tutta la passione che gli permette di inseguire la vastità del cielo, la freschezza dell'aria, la potenza del mare, orchestrati in una altissima sinfonia nutrita di non comuni energie cromatiche e di un gradevole ritmo poetico. Quello di Arigliano un lungo e meditato dialogo, vissuto "en plein air", senza che mai l'osservazione perda d'intensità, né l'analisi visiva cada nel generico poiché Arigliano non è un pittore d'occasione e la sua pittura non costituisce un banale esercizio illustrativo affidato a regole convenzionali. Arigliano conosce perfettamente le regole della composizione e fra il vedere e il sentire, fra il guardare e il tradurre, é sempre dominante quell'equilibrio, quella misura, quella trasmissione di sentimenti che sono attributi ricorrenti dei suoi silenziosi paesaggi dove i rumori non giungono e le barche si godono l'intraducibile voce del mare.
Lionello Venturi, eminente storico dell'arte, ha scritto che pittura vuol dire "cosa ben fatta" e in tale asserzione si situa la ricerca personale di Giuseppe Arigliano nella quale si incrociano l'esigenza di affermare i valori della bellezza e, non é secondaria, l'esigenza di alimentare un dialogo con le cose e con le persone che fa, appunto, dell'arte una significativa espressione dell'intelligenza dell'uomo, uno strumento finissimo di comunicazione, un linguaggio universale.
La personalità di Giuseppe Arigliano, peraltro, si molto irrobustita in questi anni e la fermezza morale che ne contraddistingue la cinquantennale militanza nel mondo dell'arte è la più probante garanzia per il consolidarsi della sua notevole identità artistica. Non esiste, a mio avviso, l'Arigliano di ieri e quello di oggi; esiste un pittore che rifiuta la via dell'effimero e, come il poeta, predilige di far provare emozioni liberandole dai lacciuoli che le comprimono.